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Altre notizie | 14 settembre 2016, 12:27

Lo storico Andrea Gandolfo ricorda la cessione alla Francia di Mentone e Roccabruna

Dopo un fallito colpo di mano attuato dal principe ereditario di Monaco Carlo Grimaldi il 6 aprile 1854, il governo francese propose al sovrano monegasco di vendere le due città al re di Sardegna....

Lo storico Andrea Gandolfo ricorda la cessione alla Francia di Mentone e Roccabruna

All’atto della sua ricongiunzione al Regno di Sardegna, il dipartimento delle Alpi Marittime venne ristabilito  secondo i confini fissati nel trattato del 24 marzo 1760, che includevano il circondario di Nizza, quello di Puget-Théniers, il marchesato di Dolceacqua e i comuni di Tenda e Briga. In seguito alla sopravvenuta aggregazione della Repubblica di Genova ai domini sabaudi, il 26 gennaio 1816 si procedette ad una nuova sistemazione delle frontiere dipartimentali, all’interno delle quali furono inseriti anche i comuni di Ventimiglia, Camporosso, Olivetta, Bevera, Penna e Airole. 

Dopo il passaggio di Ventimiglia, dei paesi limitrofi e del marchesato di Dolceacqua alla provincia di Oneglia il 4 marzo 1818, il territorio nizzardo ricevette un nuovo ordinamento amministrativo nel quadro del processo di riorganizzazione dello Stato sabaudo, che vide l’abolizione delle sue contee, marchesati, principati e città libere (retaggio di una struttura statuale di impianto medievale), e la loro sostituzione con altrettante divisioni, province e comuni. Nizza venne così elevata al rango di capoluogo della Divisione che comprendeva le tre province di Nizza, Oneglia e Sanremo. A Nizza furono installati gli uffici amministrativi centrali con a capo il comandante generale della Divisione, coadiuvato da un governatore e da un intendente generale con funzioni amministrative, mentre Oneglia e Sanremo ricaddero sotto la giurisdizione di un intendente di terza classe. 

L’8 novembre 1817 erano stati intanto ridefiniti a Stupinigi i rapporti tra il Regno di Sardegna e il Principato di Monaco, il cui sovrano Onorato IV accettò formalmente di porsi sotto il protettorato di Vittorio Emanuele I, al quale veniva accordato il diritto di installare una guarnigione sulla Rocca e inviare un contingente della Marina sarda a protezione del porto e della piazzaforte dei Grimaldi, mentre una successiva convenzione incorporò il territorio del Principato nel sistema fiscale sabaudo per la vendita del sale e del tabacco. Il 17 giugno 1825 si procedette ad una nuova accurata delimitazione dei confini tra la Francia e il Regno di Sardegna in esecuzione delle clausole frontaliere contenute nel trattato di Parigi del 20 novembre 1815. Nel corso delle operazioni di demarcazione lungo i confini tra i due Stati nel settore della Contea di Nizza, vennero piantati 57 segnali di delimitazione confinaria, di cui 41 pietre, 14 incisioni e 2 pali. 

La lunghezza totale della frontiera tra la Provenza e il Nizzardo risultò pari a 126.459,30 metri, di cui 65.320 lungo i corsi d’acqua, 56.075 rasenti le sommità e le creste delle montagne, e 5.064,30 in linea retta. La demarcazione fissata nel 1825 sarebbe poi rimasta in vigore senza ulteriori variazioni sino alla cessione del circondario di Nizza alla Francia nel 1860. Frattanto, nel contesto della politica difensiva sabauda verso la Francia, di cui il governo sardo temeva eventuali mire espansionistiche in direzione dei suoi domini in Liguria, le autorità piemontesi avevano varato un ambizioso programma militare finalizzato alla trasformazione di Ventimiglia in una vera e propria piazzaforte antifrancese. La città venne allora dotata di poderose opere di difesa, mentre veniva avviata la ristrutturazione del forte San Paolo e si procedeva all’abbattimento - fuori porta Nizza - del cinquecentesco convento dell’Annunziata, dove sarebbe sorto l’omonimo forte destinato a controllare il transito lungo la nuova via Aurelia grazie a un adeguato armamento installato nel 1840. Analoghe misure precauzionali il governo sardo adottò anche lungo la frontiera del Varo, dove furono installati uffici doganali e posti di osservazione sulle rive del fiume in tutti i villaggi e castelli dominanti la sua vallata. 

Del resto, il confine situato all’altezza del ponte sopra il fiume era continuamente valicato da abitanti dei villaggi rivieraschi, contrabbandieri, lavoratori alla ricerca di un impiego al di là della frontiera, rifugiati politici che chiedevano asilo, oltre a numerosi vagabondi in cerca di fortuna e parecchi semplici turisti, che non erano sempre disposti a sottoporsi di buon grado alle rigide formalità doganali allora vigenti al Ponte del Varo. Un gran numero di persone tentava inoltre di guadare clandestinamente il fiume, tanto da far incrementare considerevolmente il monitoraggio dei doganieri sui villaggi della riva francese. Particolarmente fiorente era poi il contrabbando, favorito dal regime doganale in vigore nella Contea di Nizza a partire dal XVII secolo, che consentiva di pagare meno di altrove le derrate coloniali e i prodotti ittici. Sotto il profilo strettamente economico il contrabbando non arrecava peraltro particolari danni, ma al contrario costituiva una risorsa non indifferente per il traffico commerciale della zona. I problemi frontalieri tra Regno di Sardegna e Francia lungo il Varo, pur tra mille difficoltà, non indussero comunque mai i due governi ad atteggiamenti di rigida contrapposizione, tranne che durante l’epidemia di colera che si verificò a Marsiglia nel 1831, quando il governo di Torino stabilì un vero e proprio cordone sanitario sulle rive del fiume, per il cui controllo dispose anche il reclutamento di milizie locali tra gli abitanti della zona, come era già accaduto nel corso del Settecento. Il sistema doganale nizzardo rimase quindi sostanzialmente inalterato fino a quando, il 14 luglio 1851, venne presentato al Parlamento subalpino un disegno di legge che estendeva di fatto alla Contea di Nizza l’applicazione delle norme doganali in vigore nel resto dello Stato.  

Tale proposta avrebbe tra l’altro comportato la soppressione entro un anno delle barriere doganali esistenti a Entracque, Limone, Isola, Dolceacqua, Sospello, Tenda, Esa e in altri centri minori, mentre il vino, l’olio, i prodotti del suolo e delle manifatture della Divisione sarebbero stati esentati dalle imposte doganali nel territorio sardo. La notizia della presentazione di questo disegno di legge provocò un vivissimo malcontento tra i commercianti nizzardi, i quali protestarono vibratamente contro il minacciato progetto doganale, che – a detta della locale Camera di Commercio –, sopprimendo i diritti differenziali per il transito nei porti di Nizza e per il valico del Col di Tenda, avrebbe creato un vero e proprio regime di monopolio a vantaggio dello scalo di Genova. La Camera propose allora che i diritti differenziali rimanessero in vigore fino a quando le vie di comunicazione tra Torino e Nizza non fossero state modificate rispetto a quelle che univano la capitale a Genova, che la franchigia venisse limitata soltanto ai  territori di Nizza e Villafranca e che i diritti differenziali fossero concessi unicamente alle merci trasportate per mare sotto bandiera sarda, in modo tale da controbilanciare il monopolio della marina francese nei porti del comprensorio nizzardo. Alla fine però, nonostante le proteste dei commercianti di Nizza, la legge venne ugualmente approvata l’11 luglio 1853 e il 23 luglio dell’anno dopo si procedette all’abolizione delle barriere doganali, senza tuttavia che tale provvedimento arrecasse particolari danni all’economia locale, che anzi, negli anni successivi, ne avrebbe notevolmente beneficiato. 

La linea politica proibizionista e reazionaria seguita dal principe di Monaco Onorato V a partire dagli anni Venti aveva intanto suscitato un sentimento di profondo malcontento soprattutto tra la popolazione di Mentone, che, dopo aver chiesto al nuovo principe Florestano l’emanazione di una Carta costituzionale sul modello di quella elargita dal re di Sardegna Carlo Alberto l’8 febbraio 1848, di fronte al drastico rifiuto del sovrano, il 2 marzo 1848 si sollevò istituendo subito dopo un governo provvisorio e una guardia civica agli ordini dell’ufficiale dei carabinieri e animatore della rivoluzione Carlo Trenca. Diciannove giorni dopo la sollevazione, Mentone e Roccabruna si proclamarono «città libere» e indipendenti sotto il protettorato del re di Sardegna, adottando come emblema la nuova bandiera sarda verde, bianca e rossa recante al centro il disegno di due mani unite in una stretta. 

Il 28 maggio il governo provvisorio bandì in perpetuo i Grimaldi dalle Città libere, mentre una delegazione presieduta da Trenca si recò a Torino per ottenere la ratifica del decreto con cui il 30 giugno gli organi rivoluzionari avevano chiesto la riunione immediata delle due città al Regno di Sardegna. Da parte sua, il governo sardo nominò un commissario straordinario con l’incarico di adottare tutti i provvedimenti opportuni per favorire l’annessione allo Stato sabaudo delle due città, che venivano provvisoriamente assegnate alla giurisdizione dell’intendente generale di Nizza. Dopo un fallito colpo di mano attuato dal principe ereditario di Monaco Carlo Grimaldi il 6 aprile 1854, il governo francese propose al sovrano monegasco di vendere le due città al re di Sardegna, ma il progetto, pur con l’assenso delle principali potenze europee tranne l’Austria, rimase soltanto sulla carta e i due paesi restarono così ancora formalmente indipendenti sino alla loro definitiva cessione alla Francia nel 1861 da parte del principe di Monaco Carlo III, quando anche il circondario di Nizza era già diventato francese da alcuni mesi.

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