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Altre notizie | 30 aprile 2016, 11:45

Andrea Cauti, giornalista e scrittore, racconta in un manuale il suo personale “viaggio” in compagnia del filosofo Wittgenstein, il padre del neo-positivismo

Nella libreria Scripta Manent tutti invitati alla ricerca del rinoceronte…Si può parlare di qualcosa che non c’è? A quanto pare si e l'autore ha scoperto un mondo meraviglioso che ha voluto condividere con sua figlia.

Andrea Cauti, giornalista e scrittore, racconta in un manuale il suo personale “viaggio” in compagnia del filosofo Wittgenstein, il padre del neo-positivismo

 

“La filosofia non si genera da nient’altro che dallo stupore” così recita una massima del Teeteto di Platone. Oggigiorno parliamo purtroppo sempre meno di filosofia. Ma abbiamo un’occasione unica da non perdere: Andrea Cauti, giornalista e scrittore, presenterà proprio oggi, giovedì 21 aprile 2016, alle ore 18:00, presso lo Spazio Culturale “Scripta Manent”, il suo libro dal titolo In questa stanza non c'è un rinoceronte - Wittgenstein spiegato a mia figlia. Il suo tentativo esemplare di rendere fruibile a tutti i concetti più complessi e controversi del neo-positivismo austriaco, racchiusi nel Trattato di Wittgenstein, nasce in famiglia e, ne siamo certi, saprà catalizzare il pubblico monegasco. Ma chiediamo direttamente a lui qualche curiosità.

 

Dott. Cauti, una prima domanda sorge spontanea: perché un rinoceronte?

 

È la celeberrima disputa tra Russell e Wittgenstein avvenuta a Cambridge nel 1911. La questione è prettamente filosofica. Anzi, analitica. Si può parlare di qualcosa che non c’è? “Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” celebre massima wittgensteiniana. La scelta di questo titolo è una piccola provocazione. Una presa di posizione spiazzante e apparentemente illogica che obbliga il lettore a riflettere. E lo scopo del mio manualetto è proprio questo: vuol essere motivo di stimolo intellettuale.

 

Da cosa nasce il bisogno di “spiegare Wittgenstein”?

 

Quando scopriamo un posto magnifico ci viene automatico consigliarlo a parenti e amici. Così è accaduto a me con Wittgenstein: ho scoperto un mondo meraviglioso e ho pensato di parlarne a mia figlia. Come avrà capito, non si tratta di un libro normale. Quel viaggio nel “mondo Wittgenstein”, durato oltre un anno, l’ho fatto per conto mio, per passione e senza alcuna idea di raccontarlo. Poi, in cinque-sei mesi, ho raccolto le idee su un quaderno ed ecco il risultato!

 

Il “filosofeggiare” sta assumendo nuove forme di espressione: nell’era di internet e dei social network esiste ancora spazio per la filosofia?

 

Se per “era di internet” s'intende quella realtà per cui l’idea di fermarsi è vista come una bestemmia, allora per la filosofia non c’è posto. In un mondo fatto di messaggi a 140 caratteri, spot e frasi a effetto, esiste solo la “filosofia bonsai”. Nel libro mi sono divertito a immaginare il linguaggio di Wittgenstein applicato al web. Ad internet hanno accesso tutti, qualunque sia la loro cultura o estrazione sociale. In questo “mare social” si perde l’identità e si parla di tutto: questo è il “gioco” a cui ognuno partecipa. Ma, a questo punto: qual è l’oggetto di discussione sui social? Ciò che viene condiviso (video, foto, ecc.) o il soggetto rappresentato? Il video di un evento o l’evento stesso?

 

Essere connessi al web è ormai essenziale, trasformandoci tutti in “esperti di cliccate”: secondo lei serve ancora leggere i libri?

 

Leggere libri è fuori discussione. È fondamentale! Quello che invece manca è la cultura della contemplazione. Si pensa di poter acquisire nozioni e conoscenze in breve tempo, con piccoli sorsi di sapere. È una deformazione intellettuale dominante tra i giovani. Mi parla di “esperti di cliccate”. È un’espressione simpatica che nasconde una realtà drammatica: si pensa che tutto ciò che si trova sul web sia vero e reale. Il postmodernismo parte proprio dall’assunto che non esistono fatti ma solo interpretazioni. Sul web non esistono verità, ma solo interpretazioni. Ma questo non è chiaro a tutti…

 

Perché ha scelto lo Spazio Culturale Scripta Manent di Monaco come “palcoscenico ideale” per presentare il suo libro?

 

R.: Liana Marabini - titolare della libreria monegaca - è una donna di cultura, un’editrice e una regista appassionata. Nei suoi film racconta il lato glamour della Chiesa. Lo fa con occhio di credente, ma anche con la convinzione di poter regalare qualcosa agli spettatori. Mi ha sempre affascinato per la sua originalità e onestà. Io sono un giornalista e mi occupo di cultura e di cinema per l’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) e da anni seguo il suo lavoro. L’ultimo suo film, “Shades of Truth”, è prezioso: la verità storica sulla figura di Pio XII e la fiction si sposano con grande equilibrio e classe. Nel Principato di Monaco ha poi sede la Liamar Editions, che edita il libro. Inoltre, l’Italia è diventata un po’ provinciale e poco attenta alla filosofia. Diversamente avviene in Francia e nel Principato dove i valori culturali vengono ancora considerati importanti.

 

Chi sono per lei i “nuovi filosofi”? I cantautori di oggi possono essere considerati i “filosofi” delle nuove generazioni?

 

La filosofia è uno stato dell’anima. Non esistono nuovi o vecchi filosofi, casomai nuovi o vecchi maestri di filosofia. E non sempre questi ultimi si possono definire “filosofi”. Il fatto stesso di vivere e di condurre la propria esistenza in un certo modo presuppone che ci sia dietro una “filosofia”. I movimenti esistono e hanno rappresentanti illustri, ma i veri filosofi, a mio giudizio, sono autodidatti e non hanno riferimenti unici. In quanto ai cantautori, non credo possano essere definiti filosofi. Siamo in un altro contesto. Forse si può parlare di poesia, letteratura o satira.

 

Maurizio Abbati

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