Business - 15 ottobre 2018, 07:41

Riformare il capitalismo è possibile?

Con l’espressione capitalismo sociale si identifica un virtuoso progetto in divenire, che interessa da vicino tutti noi che desideriamo vivere finalmente in un mondo più equo e solidale

Riformare il capitalismo è possibile?

L’avvento del capitalismo sociale

“Conciliare il profitto di pochi con il benessere di tutti”: ecco la via per ridurre l'attuale gap, in continuo aumento in tutto il mondo, tra ricchi e poveri. Tale possibile soluzione a uno dei più gravi mali che affliggono da tempo la nostra società globale prende il nome di capitalismo sociale, e proprio di questo abbiamo deciso di parlarvi oggi. Con l’espressione capitalismo sociale si identifica un virtuoso progetto in divenire, che interessa da vicino tutti noi che desideriamo vivere finalmente in un mondo più equo e solidale, all’interno del quale le imprese, oltre a creare valore come hanno sempre fatto, genereranno benessere per l’intera comunità. Protagoniste assolute di questo futuro, speriamo non troppo lontano, saranno le cosiddette benefit corporation, ovvero realtà produttive i cui business plan dovranno tenere conto della Green Corporate Social Responsibility (la moderna responsabilità sociale d’impresa) e sforzarsi al contempo di avere un impatto economico, ambientale e sociale positivi. L’obiettivo ultimo di queste aziende sarà quello di farsi apprezzare da consumatori e investitori, che d’ora in avanti empatizzeranno con l’operato di brand capaci di raggiungere determinati sustainable development goals, tra cui energia pulita e accessibile, lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento marino e povertà zero. Le benefit corporation per fortuna esistono già e in Italia sono circa 500; tra queste non possiamo non menzionare le conosciutissime Aboca, Alessi, Davines, Fratelli Carli ma anche piccole aziende come Treedom e Tweegs. Seconda nazione al mondo dietro agli Usa a introdurre nel proprio ordinamento le benefit corporation, il Belpaese risulta in prima linea quando si tratta di far sì che l’impatto ambientale (sostenibile) generi ricchezza. La strada è ancora lunga, ma il fatto che molte realtà del tessuto produttivo stiano inserendo all’interno del loro statuto il “perseguimento di un maggiore benessere per tutti” può essere la svolta green, non intaccante in alcun modo il profitto, che ci aspettiamo per passare a un capitalismo sociale.    

Una sfida che stiamo vincendo

L’attuale livello di inquinamento del pianeta è ormai insostenibile per le generazioni attuali e soprattutto per quelle future. Un tempo il regno della biodiversità vegetale e animale, la Terra è oggi un ecosistema continuamente minacciato dall’attività dell’uomo, incurante delle emissioni industriali di gas serra che hanno favorito il manifestarsi di cambiamenti climatici sempre più violenti tra cui devastanti tsunami e totali desertificazioni di interi territori. Se tempo fa iniziative di stampo nazionale e internazionale per provare a contrastare questi fenomeni risultavano prive di qualsiasi efficacia, con lo svilupparsi di una comune coscienza green e grazie a un’importantissima ricorrenza come La Giornata della Terra, evento mondiale annuale a supporto della protezione ambientale necessario per responsabilizzare il singolo cittadino e alcune imprese che poco si preoccupano dell’ecosistema, la strada verso un mondo ancora piacevolmente abitabile è stata battuta. L’avvento del capitalismo sociale e delle benefit corporation è un altro bel segnale che ci fa sperare in un futuro dove il profitto e il benessere convivranno, dove le diseguaglianze e l’inquinamento saranno un lontano ricordo, dove l’etica e il guadagno potranno coesistere.  

Ma cosa fanno in concreto le benefit corporation italiane?

Partiamo subito con il dire che l’ambito di azione delle benefit corporation italiane è ampio e vario: Treedom è l’unica piattaforma web al mondo che permette di piantare un albero e vederlo crescere, mentre Patagonia realizza capi di abbigliamento “a impatto 0”. Che dire poi di NWG Energia, azienda che commercializza solo ed esclusivamente energia elettrica proveniente al 100% da fonti rinnovabili oppure di Fratelli Carli che produce olio e specialità alimentari nel pieno rispetto di ambiente e persone? Non da ultimo è necessario ricordare come il gruppo Davines da sempre realizzi prodotti di cosmesi assolutamente sostenibili o come Banca Prossima si stia impegnando, da statuto, a “creare valore sociale servendo esclusivamente l’economia non-profit”. L’operato di queste realtà, i cui ambiti di specializzazione non potrebbero essere più diversi tra loro, ci fanno capire come in Italia si possa già parlare di etica e profitto senza per forza che tale binomio risulti essere una mera contraddizione in termini. Il capitalismo sociale è dunque tra noi!



Richy Garino

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