Eventi - 11 settembre 2025, 12:57

Carlo Marcucci, il regista che non teme di esplorare: dalla catastrofe di Chernoby alla bellezza di Monaco

Il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce - Ingmar Bergman

Oggi abbiamo il piacere di incontrare l’artista Carlo Marcucci,  che ha saputo evolvere, trasformando una carriera di successo come Art Director in una da regista. Dagli anni '90 a oggi, ha usato la sua esperienza per creare un cinema che unisce il passato al presente, intrecciando storie personali e Storia universale.
Dalla candidatura ai Golden Globe per il suo documentario Chernobyl XX anni dopo al prossimo lungometraggio Frammenti di mare, il suo lavoro è un invito a guardare in profondità. Un autore poliedrico che esplora il cinema, la letteratura e i social media, dimostrando che l'arte può e deve superare ogni confine.

Dalla tua esperienza come Art Director in diversi film, dagli anni ‘90 ad oggi, com’è nata la tua carriera da regista?

La mia carriera da regista è nata lentamente, quasi per sedimentazione. Negli anni ’90, lavorando come Art Director su diversi set, ho avuto la fortuna di osservare da vicino il lavoro dei registi, di ascoltare il modo in cui trasformavano parole in immagini, intuizioni in visioni. Ogni esperienza mi ha lasciato un frammento: un’idea di ritmo, di luce, di spazio narrativo.
A un certo punto, però, ho sentito che raccontare per immagini al servizio degli altri non mi bastava più. C’erano storie che avevo bisogno di raccontare con la mia voce. Così, partendo da progetti piccoli ma molto personali, ho cominciato a costruire un mio linguaggio, cercando sempre l’incontro tra l’essenza umana e la dimensione storica e sociale del nostro tempo.

I tuoi film, dall'opera prima Vicino al fiume al documentario Chernobyl XX anni dopo, fino a  Dogmatique - Le verità del destino, sono noti per la capacità di intrecciare fatti storici con elementi attuali. Come leghi questi due aspetti?

Per me non esiste una linea netta tra passato e presente. Quello che è successo ieri, anche se dimenticato o rimosso, continua a influenzare profondamente le nostre vite. La mia ricerca artistica parte da lì: dalla volontà di rivelare i fili invisibili che legano la Storia – con la S maiuscola – alle nostre fragilità quotidiane. Uso il cinema per far emergere le risonanze: una tragedia collettiva può spiegare un trauma personale; un mistero storico può rispecchiare una crisi contemporanea. Credo che raccontare il presente senza ascoltare l’eco del passato sia un’occasione persa, e viceversa: la memoria, se non la colleghi all’oggi, rischia di diventare solo celebrazione o nostalgia.

A proposito di Chernobyl XX anni dopo, il documentario ti ha valso una candidatura ai Golden Globe per la stampa estera. Qual è stata la genesi di quel progetto e che significato ha avuto per te quel riconoscimento?

Quel progetto è nato da una domanda: cosa resta dopo una catastrofe? Non solo in termini materiali, ma spirituali. Volevo guardare dentro le crepe del tempo, dentro le vite di chi era rimasto, o tornato, a vivere nei dintorni della zona di esclusione. Non mi interessava solo la cronaca, ma la dimensione poetica, la sospensione, il senso di abbandono e insieme di resistenza. Ricevere una candidatura ai Golden Globe della stampa estera è stato, per me, un riconoscimento non tanto personale, quanto di un approccio: un modo di fare cinema che non ha paura di guardare in profondità, di ascoltare anche il dolore muto. È stata la conferma che anche una voce indipendente, fuori dal circuito industriale, può farsi sentire a livello internazionale.

Oltre al cinema, stai lavorando alla trasposizione in romanzo di Capitoli mancanti, un thriller che tocca eventi come la strage di Bologna e la morte di Enrico Mattei. Cosa ti ha spinto a passare dalla sceneggiatura alla forma letteraria, e quali sfide comporta questo passaggio?

Capitoli mancanti nasce da una sceneggiatura molto intensa, ma ho capito presto che quella storia meritava anche un altro respiro, più profondo e articolato. Il punto di partenza è un fatto reale e inquietante: il famoso capitolo mancante di Petrolio, l’ultimo romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini. Un capitolo che – si dice – conteneva verità scomode, forse decisive, su trame oscure del potere italiano.
Da lì ho costruito un'indagine narrativa che attraversa decenni di storia italiana, toccando eventi come la strage di Bologna, la morte di Enrico Mattei, l’omicidio di Mino Pecorelli.
Passare dalla sceneggiatura al romanzo è stata una sfida e insieme un’opportunità: nel romanzo posso scavare nella psicologia dei personaggi, dilatare i tempi, seminare indizi, usare la parola come strumento di tensione e conoscenza. È un lavoro diverso, più solitario, ma incredibilmente ricco.

Il romanzo si propone di attrarre un pubblico affine a quello di autori come Dan Brown, Umberto Eco e James Rollins. Cosa possono aspettarsi i lettori da Capitoli mancanti?

Quando uscirà, i lettori troveranno un’opera che mescola mistero, azione e verità storiche documentate. Non è solo un thriller, ma un viaggio dentro i non detti del nostro Paese. Ci sono enigmi da decifrare, personaggi ambigui, documenti perduti, indagini parallele e connessioni pericolose tra poteri occulti.
Chi ama la suspense intelligente, quella che non si accontenta del colpo di scena ma cerca una riflessione profonda sul potere, la giustizia, la memoria, troverà molto da scoprire. È un romanzo pensato per chi ama scavare, per chi si pone domande scomode.
Il riferimento a Eco non è solo un omaggio, ma un riconoscimento del fatto che Capitoli mancanti è anche un gioco intellettuale: una mappa, un labirinto, dove ogni dettaglio conta.

La tua presenza sui social media è in costante crescita. Quanto è importante per un regista e autore oggi essere attivo su queste piattaforme, e quali obiettivi ti poni in termini di comunicazione e collaborazioni?

Oggi la comunicazione passa sempre più attraverso i social, che sono diventati uno spazio creativo a tutti gli effetti. Non li uso in modo promozionale nel senso classico, ma come un’estensione del mio processo artistico. Attraverso foto, video, riflessioni, condivido pezzi del mio lavoro, cerco nuove energie, scambio idee con artisti, spettatori, lettori. È un modo diretto, vivo, orizzontale, per costruire un dialogo autentico. Uno degli obiettivi principali che mi pongo è quello di creare comunità, reti di collaborazione che superino i confini tradizionali del cinema e della letteratura. Voglio che chi mi segue si senta parte del percorso, non solo spettatore.

Tra qualche settimana parte il tuo ultimo progetto: un lungometraggio dal titolo Frammenti di mare, il cui tema principale tratta la storia di un giornalista in pensione in un viaggio alla riscoperta di sé. Cosa ti ha portato a questa storia e come intendi affrontare argomenti così delicati sul grande schermo?

Frammenti di mare è una riflessione intima e personale sul tempo, sulla memoria, sul bisogno di ricostruirsi dopo che la vita ci ha disilluso. Il protagonista è un giornalista ormai in pensione che decide di partire per un viaggio che lo porterà a fare i conti con tutto ciò che ha rimosso: errori, perdite, ma anche desideri mai ascoltati. Ho sentito il bisogno di raccontare una rinascita, ma senza retorica. Un risveglio lento, malinconico, fatto di incontri inattesi e luoghi che curano. A interpretare i due protagonisti saranno Marcello Arnone e Stéphane Ferrara, due attori che porto con me da tempo e che, in questa storia, daranno corpo e anima a personaggi fragili ma potentissimi. Sarà un film che privilegia l’essenziale: i silenzi, le attese, le pause. Ma dentro ci saranno anche luce, forza, speranza.

Questo nuovo progetto sembra fondere il viaggio interiore del protagonista con un viaggio che dalla bellezza naturale del Principato di Monaco arriva a tuffarsi nel mare della Calabria. Quale messaggio principale speri che il pubblico colga da questa narrazione?

Spero che il pubblico colga la bellezza del ricominciare. Il fatto che, anche quando pensiamo che sia troppo tardi per cambiare, in realtà la vita ci offre sempre un’ultima possibilità.


Il viaggio geografico – da Monaco alla Calabria – non è solo un pretesto visivo: rappresenta il passaggio da una vita ordinata, forse sterile, a un mondo più selvaggio, più autentico, dove tutto può ancora succedere. Il mare, in questo film, è simbolo di immersione, di abbandono, ma anche di libertà. E i “frammenti” del titolo sono le parti di sé che il protagonista ha perso lungo la strada, e che cercherà – forse invano, forse con successo – di ricomporre.
(Foto di Federico Maria Favero)

C.S.