Le luminarie ci sono, le vetrine scintillano, i Babbi Natale continuano a rincorrersi, magari un po’ meno numerosi, spesso sostituiti da elfi e simboli di fantasia.
Il Natale, almeno in apparenza, non ha perso la sua scenografia. Le città si accendono, i riti si ripetono, le tavole si preparano come sempre. Eppure, quest’anno, nell’aria c’è qualcosa di diverso.
In Francia questa sensazione è quasi fisica, ma non è un’eccezione: attraversa l’Europa intera. È il peso di un tempo inquieto che si posa anche sui giorni della festa.
Le guerre alle porte del continente, la progressiva erosione del potere d’acquisto delle famiglie, l’ansia per un futuro sempre più incerto, il riemergere degli attentati, l’aumento della violenza domestica, la crisi economica e le fragilità politiche: tutto questo ha cambiato il Natale, anche se nessuno ha spento le luci.
Il presepe nella chiesa luterana di Betlemme, con le macerie e il bambin Gesù avvolto con una kefie Foto: Marcus Yam / Los Angeles Times
La festa, da tempo, ha imboccato una deriva sempre più consumistica. Inizia ormai subito dopo Halloween e arriva al 25 dicembre affannata, come se avesse perso per strada una parte della sua poesia. La magia si assottiglia, schiacciata da un calendario che corre veloce verso Capodanno e oltre, mentre la “festa d’inverno” cambia pelle, pur conservando alcune tradizioni.
Nei luoghi di culto per chi crede, e soprattutto a tavola, per quasi tutti: almeno a questo non si rinuncia.
Ed è forse proprio da questa ostinata “rinuncia alla rinuncia” che vale la pena ripartire. Da ciò che il Natale continua a rappresentare nell’immaginario collettivo: l’idea della pace tra le persone di buona volontà.
Un’espressione antica, forse logora, ma mai così necessaria. Perché di queste persone c’è bisogno oggi, più che mai, senza distinzioni di lingua, religione o colore della pelle.
Il mondo non può permettersi di perdere la battaglia che impegna la maggioranza silenziosa degli esseri umani: quella per una vita dignitosa, per il benessere possibile, per la tranquillità quotidiana, in una parola per la felicità.
Sono donne e uomini che vivono nelle nostre città o che attraversano mari e continenti in cerca di una nuova possibilità; genitori che sacrificano tutto per i figli; persone comuni che, spesso senza proclami, incarnano davvero lo spirito del Natale.
A loro occorre guardare, senza chiedere quale Dio preghino, quale lingua parlino o quali abitudini li definiscano. Oggi l’umanità che si richiama allo spirito natalizio va ben oltre il perimetro della fede cristiana. È un patrimonio universale, che vive anche in chi non prega o riconosce un Dio diverso da quello che generò Gesù.
A queste donne e a questi uomini di buona volontà va l’augurio di un Buon Natale e, soprattutto, di una buona pace.
Per gli altri, resta la speranza, forse fragile, di un esame di coscienza. Anche se il dubbio è legittimo: tra poche ore il Natale sarà già un ricordo e il mondo tornerà a correre come prima. Proprio per questo, vale la pena fermarsi, almeno oggi.