Vestita di nero, in piedi davanti a un pubblico curioso e assorto, la nuova direttrice di Villa Arson ha preso la parola con determinazione e chiarezza: «Il mio obiettivo è far venire gente alla Villa».
E, a giudicare dal successo della serata inaugurale, tra cocktail, opere e chiacchiere, la strada sembra tracciata. Non solo un vernissage, non solo un evento: una dichiarazione d’intenti.
Portare vita in un luogo che, da troppo tempo, parlava soprattutto agli addetti ai lavori.

Nel cuore di Nizza, due mostre inaugurate in simultanea ci accompagnano fino alla fine dell’estate: Becoming Ocean e Liquid Grounds, visitabili fino al 24 agosto 2025.
Due titoli poetici, due traiettorie che scorrono parallele come correnti sottomarine, eppure capaci di fondersi nel grande tema che oggi più che mai chiede ascolto: il nostro legame con l'acqua, con l’ambiente, con il futuro.
Becoming Ocean, parte integrante della Biennale des Arts et de l’Océan organizzata in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul mare, è una meditazione collettiva sull’oceano come organismo vivente e come metafora culturale.
Oltre venti artisti internazionali, tra cui Allora & Calzadilla, Simone Fattal e Kapwani Kiwanga, trasformano Villa Arson in una camera d’eco planetaria, dove arte, scienza e impegno civile si intrecciano.
L’oceano non è solo un soggetto da rappresentare, ma una voce da ascoltare. Le opere ci parlano, ci interpellano, ci sfidano. A volte ci commuovono, altre ci lasciano disorientati. Ma è questo, in fondo, il compito dell’arte: creare onde.
In uno spazio accanto, ma idealmente connesso, Liquid Grounds ci invita a riflettere su una diversa liquefazione: quella del sé nell’altro, del corpo nel paesaggio, dell’identità nell’ambiente.
Curata da Vittorio Parisi, l’esposizione si sviluppa attorno al concetto di “suolo liquido”, ispirato dalla filosofa Luce Irigaray.
Le artiste Saodat Ismailova ed Elena Mazzi intrecciano le loro visioni in un dialogo fluido tra Asia centrale e Islanda, tra autobiografia e mito, tra dolore fisico e rinascita spirituale.
Le loro installazioni parlano di sogni sussurrati all’acqua e di corpi in ascolto del mare, di vertebre spezzate e balene immaginate, di ferite e guarigioni.
Il vernissage, come da copione, si è chiuso con l’assalto al buffet – rito imprescindibile di ogni inaugurazione, preceduto da quell'altro, più raro e prezioso, del silenzio attento davanti alle opere.
Ma al di là del folklore, ciò che resta è la sensazione di una Villa Arson che torna a vibrare. Dove l’arte smette di essere decoro e si fa conversazione. Dove l’oceano non è più solo una cartolina estiva, ma una coscienza da ritrovare.
Chi entra in queste sale non esce indenne. Si porta dentro un’eco. O forse un’onda.


















