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Politica | 19 marzo 2023, 07:00

Francia : "Le jour de gloire est arrivé". Cosa sta succedendo?

L’idea stessa che siano intaccati i diritti acquisiti “rode” i francesi e mette a rischio il valore unificante, il “bien vivre”

Manifestazioni contro la riforma delle pensioni (Facebook)

Manifestazioni contro la riforma delle pensioni (Facebook)

Domani non sarà una giornata semplice in Francia. Si avvicina il “redde rationem” della legge che allontana di due anni l’età pensionabile per alcune categorie di lavoratori: l’Assemblée Nationale si esprimerà sulla sfiducia al governo, mentre le strade sono occupate da manifestanti di diverse, a volte contrapposte, idee politiche.

Cosa sta succedendo ai confini dell’Italia?
Per comprenderlo occorre prima “entrare” nella mentalità francese, nel comune sentire di un popolo che, a differenza dell’Italia, è anche Nazione e che non vuole cedere alcuno dei propri diritti acquisiti.

 

La legge sulle pensioni, annacquata da mille esclusioni per categorie sempre più numerose di lavoratori, di per sé non è un granché.
Allunga di due anni l’età della retraite, ma esclude talmente tante categorie o situazioni, che trovare chi effettivamente ne sarà colpito non è semplice.
Ma è l’idea stessa che siano intaccati i diritti acquisiti che “rode” i francesi: nulla a che vedere con la legge sulle pensioni firmata dal governo Monti e dalla professoressa Fornero, nessun esodato “tradito”, nessuno a spasso senza né lavoro, né pensione.
Del resto nulla di paragonabile alla situazione italiana ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi che costrinse, in una notte, Monti a salvare un Paese avviato alla bancarotta.

In Francia c’è la consapevolezza che lo Stato sociale sia a rischio e che molti diritti acquisiti potrebbero essere messi in discussione ed è proprio su questo che si è accesa la bagarre.
Un Paese che paga molte tasse per essere “tranquillo”, nel quale il patrimonio contribuisce a sostenere i diritti acquisiti e quando si eredita si “lascia” al fisco quasi metà dei beni fatica a capire perché il proprio valore unificante venga messo in discussione.

 

Perché la Francia un valore unificante lo ha e questo la rende Nazione: il “bien vivre”, il benessere non solo o esclusivamente materiale che assicura ai cittadini una protezione pressoché assoluta dalla nascita alla morte.
Assistenza, aiuto alle famiglie, coperture crescenti assicurano quel “bien vivre” che viene percepito come messo a rischio, o irrimediabilmente scalfito, dalla modifica in peggio della legge sulle pensioni.

La politica sa che la strada è obbligata, ma in questo ha imboccato una strada diversa da quella dei cittadini: bene lo ha osservato Segolene Royal, con lucidità e acutezza, ieri in un’intervista a La Stampa.
Così lo spirito nazionale riparte dalle sue origini, dalla Rivoluzione Francese e occupa le strade e le piazze in una protesta che potrebbe anche essere “epica” o “donchisciottesca” per la difesa del nulla (o quasi) se non fosse per la presenza (e qui si trovano, purtroppo, punti di contatto con l’Italia) di gruppi politicizzati dell’estrema destra e tifoserie organizzate di calcio che portano all’estremo il diritto alla manifestazione trasformandolo in diritto alla guerriglia ed a spaccare tutto mettendo a ferro e fuoco le città.

Per il resto lo spirito francese è diverso, ha il sapore della difesa di diritti ritenuti intoccabili contro la volontà, razionale ed anche ragionevole, di intervenire per evitare guai anche peggiori.
Il rischio è che, in una situazione così contrapposta, non vinca nessuno.
Né il Presidente Macron, al suo secondo mandato e quindi con le mani libere perché non rieleggibile, né il popolo che difende un diritto che, se la crisi bancaria dovesse colpire gli istituti di credito francesi (talmente grandi da non essere difendibili), verrebbe spazzato via in un amen.

Il tutto condito dalla violenza di chi, al solito, non ha capito nulla, nemmeno che le ideologie dello scorso secolo, almeno in Francia, si sono infrante sulla battigia della Normandia e, ancor prima, nell’appello lanciato da De Gaulle il 18 giugno 1940.
La convinzione, in questo caso, è che, comunque finisca, nessuno sarà il vincitore.   


Beppe Tassone

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