Nell’era dell’intelligenza artificiale, la comunicazione e la divulgazione medica affrontano nuove sfide, ma anche nuove opportunità. Ci troviamo in un’epoca in cui l’informazione viaggia attraverso molteplici canali e a velocità vertiginosa, fatto che richiede sempre di più un approccio analitico, responsabile, professionale ed etico.
Sul tema dell’impatto delle nuove tecnologie nella divulgazione medica, sull’importanza della comunicazione in ambito sanitario e sul ruolo centrale dell’educazione precoce per promuovere la prevenzione e abitudini salutari, ci risponde il Dr. Josep Brugada, uno dei riferimenti mondiali della cardiologia, professore di Medicina, consulente senior dell’Hospital Clínic di Barcellona e Direttore dell’Unità di Aritmie Pediatriche dell’Hospital Sant Joan de Déu di Barcellona.
Riconosciuto a livello internazionale per aver descritto nel 1992, insieme ai suoi fratelli, la malattia causa della morte improvvisa cardiaca oggi nota come Sindrome di Brugada, è uno dei pionieri nell’uso delle tecnologie più avanzate per la cura e la prevenzione delle malattie cardiache. La sua attività didattica, divulgativa e di ricerca è raccolta in oltre 500 articoli pubblicati su riviste scientifiche di alto impatto, ed è stata premiata con innumerevoli riconoscimenti che sottolineano il valore del suo contributo alla medicina e al dibattito sociale sull’importanza dell’educazione e della comunicazione in ambito sanitario.
Professionalizzare la divulgazione e la comunicazione medica nell’era dell’IA: quali sfide ci attendono?
È necessario avere professionisti completamente dedicati alla comunicazione, che sappiano comunicare con rigore scientifico ciò che è provato e dimostrato. E soprattutto dobbiamo sapere come contrastare tutte le informazioni false e come comunicare che certe notizie non sono scientificamente provate, che possono essere semplici opinioni o disinformazione da parte di certi media. Chi lavora nella comunicazione deve avere ben presenti tutti i meccanismi e le barriere etiche per controllare queste informazioni che i social network diffondono in modo massivo, immediato e potenzialmente molto dannoso.
Qualche anno fa, in un’intervista, mi diceva che “la comunicazione in ambito sanitario non è semplice”. Come la vede oggi con l’impatto dell’IA e dei social network?
La vedo come una grande opportunità per raggiungere tantissime persone, ma allo stesso tempo, questa capacità di diffusione può essere positiva o negativa, a seconda di ciò che comunichiamo. L’intelligenza artificiale va bene se siamo noi a controllarla e se verifichiamo che le informazioni che produce siano veritiere. Sappiamo che i social network sono una grande fonte di fake news, bufale, ecc., e in ambito sanitario ciò può essere terrificante. Credo dunque che sia nostro dovere, di tutti, lavorare in modo professionale questo è indiscutibile ma anche dotarci di strumenti che permettano di verificare e contrastare tutte le bufale e le informazioni false che circolano.
Nell’era dell’IA, l’accesso all’informazione consente a pazienti e familiari di partecipare attivamente alle decisioni sanitarie. Quali rischi e vantaggi comporta questo fenomeno?
Che i pazienti e i familiari partecipino alle decisioni mediche è sempre positivo. Non dobbiamo aver paura dell’informazione, né di confrontarci con i familiari sulle varie opzioni. È un bene che arrivino in ambulatorio con domande precise su temi specifici. Il problema, ancora una volta, è la disinformazione: rispondere a domande basate su notizie false lette online, credute vere. Il nostro compito è chiarire cosa è scientificamente provato e cosa no. Abbiamo superato una medicina paternalistica per approdare a una medicina partecipativa, dove le persone hanno il diritto e il dovere di essere informate, di sapere cosa hanno e di partecipare alle decisioni. Sempre sotto la guida del medico, che deve chiarire cosa è vero e cosa è un mito.
La scienza è per la società, ma a volte appare distante dalla realtà sociale. Come integrarla nella nostra quotidianità?
È fondamentale integrare la scienza nel concetto stesso di società. La gente deve capire cosa è scienza e cosa è opinione. Non è accettabile che si informino tramite opinionisti che parlano di tutto, mentre quando un ricercatore comunica qualcosa di specifico venga percepito come distante. È nostra responsabilità, come scienziati, tradurre adeguatamente l’informazione e non sopravvalutare ciò che diciamo solo per ottenere notorietà.
Come rendere la scienza una moda che non passa di moda?
Bisogna dare il giusto ritmo alla scienza, capire che la scienza avanza poco a poco. Non ogni scoperta cambia il mondo, ma è un passo in avanti. Dobbiamo trasmettere questa passione ai giovani, mostrare loro che la scienza è affascinante, che permette di conoscere e scoprire un po’ alla volta, ma che tutto questo insieme genera cambiamenti enormi. Lo abbiamo visto negli ultimi decenni in medicina e in ogni campo scientifico. Oggi abbiamo risultati straordinari grazie a migliaia di menti brillanti impegnate nella scienza. Questo non dobbiamo perderlo, ma incentivarlo e trasmetterlo alle nuove generazioni.
Quali devono essere, secondo lei, i pilastri della divulgazione medica oggi?
Credo che i pilastri debbano essere: scienza, scienza, scienza. Risultati scientifici, concetti scientifici e informazioni assolutamente veritiere. Abbiamo riviste scientifiche e meccanismi di controllo. Dobbiamo allontanarci dalle informazioni fornite nei talk show, da opinionisti che non hanno la preparazione adeguata, e fuggire dai social come fonte di notizie scientifiche. Questa attività deve essere professionalizzata e rispettare standard etici elevati, sia da parte degli scienziati che dei divulgatori.
Comunicare per prevenire e diagnosticare precocemente in cardiologia: quali sono le sfide?
In cardiologia, da molti anni comunichiamo i criteri di prevenzione. Tutti sanno che fumare fa male, che bisogna fare esercizio, evitare il sovrappeso, limitare i grassi, il sale, controllare lo zucchero. Sono concetti ripetuti da 40 anni. Eppure, ci sono ancora difficoltà a farne capire l’importanza. C’è chi ancora oggi dice: “Sicuro che fumare fa male? Mio zio fumava e ha vissuto 95 anni.” Si usa l’aneddoto per negare la regola, quando l’evidenza scientifica è schiacciante.
La sfida? Che i nostri giovani escano da scuola con una formazione solida sui concetti base della salute. Che questo diventi un pilastro fondamentale del loro sviluppo come persone e che sia talmente radicato nella società da essere indiscutibile. Che venga insegnato come principio base dell’essere umano, e che la prevenzione diventi così interiorizzata da non lasciare spazio a dubbi o polemiche. È questa la grande sfida: che i giovani considerino queste conoscenze parte integrante della loro formazione, perché negli adulti, spesso, il cambiamento arriva solo dopo un problema, quando è troppo tardi.