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Eventi | 29 agosto 2024, 10:00

Luigi Busà, un campione olimpico a SportivaMente: «Se tutti praticassero il karate, il mondo sarebbe migliore»

Giovedì 5 settembre, alle 20.45, l’atleta sarà ospite del Festival dei libri sportivi in piazza Vittorio Emanuele II a Busto Arsizio. Ripercorrerà una carriera costellata da trionfi, soffermandosi su quanto lo sport abbia inciso sulla propria vita. «Il karate mi ha salvato», dice Busà, che incontrando i più giovani non mostra titoli e medaglie, ma fragilità e paure che non gli hanno impedito di diventare un campione

Il karateka Luigi Busà sarà ospite di SportivaMente giovedì 5 settembre, giornata inaugurale del Festival dei libri sportivi

Il karateka Luigi Busà sarà ospite di SportivaMente giovedì 5 settembre, giornata inaugurale del Festival dei libri sportivi

Nel karate ha vinto semplicemente tutto: tre titoli mondiali, otto europei (tre titoli U21 e cinque nella categoria seniores), tredici volte consecutive campione italiano assoluto dal 2006 al 2018, con record di vittorie. Una grande carriera quella di Luigi Busà, coronata con la storica medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020.

Il karateka sarà ospite di SportivaMente - il Festival dei libri sportivi, iniziativa organizzata dall’Associazione Culturale Territori in collaborazione con l'associazione culturale Cuadri e il gruppo editoriale More News, giunta alla terza edizione. L’appuntamento è per giovedì 5 settembre alle 20.45 in piazza Vittorio Emanuele II a Busto Arsizio (qui il programma).

L’atleta siciliano ripercorrerà i propri successi, spiegando quanto lo sport possa incidere profondamente sulla vita di una persona, al di là delle vittorie. «Il karate mi ha salvato», dice Busà, che oggi incontrando i più giovani non mostra titoli e medaglie, ma fragilità e paure che non gli hanno impedito di diventare un campione.

Luigi, come nasce la tua passione per il karate?
«La mia passione nasce grazie a mio padre. È il mio maestro. Ha una palestra ad Avola, dove mi ha portato quando avevo 3 anni e mezzo. Sono entrato e non sono più uscito, mi sono innamorato del karate fin da piccolo, per poi diventare quello che sono diventato».

In questa disciplina hai vinto tutto: una carriera straordinaria coronata dall’oro olimpico a Tokyo. Che ricordi hai di quel trionfo?
«È vero, ho vinto tutto: europei, mondiali, Olimpiade. Dell’oro olimpico riesco a parlare poco perché ho ricordi poco nitidi, sembrava un sogno, non riuscivo a realizzare quello che stava accadendo. Quando ho rivisto i video del podio, non ricordavo tante cose. Ho toccato il cielo con un dito, è stata un’emozione fortissima e sono riuscito a realizzare quello che era successo soltanto dopo tre-quattro mesi, dopo essere entrato in un vortice tra tv e interesse mediatico un po’ inaspettato. Ovviamente è stata una delle emozioni più belle provate nella mia vita». 

L’oro olimpico ti ha in qualche modo cambiato la vita?
«La mia vita era già bella, piena di soddisfazioni, con una famiglia unita che amo. Le cose semplici, che sono le più importanti, le avevo già tutte. Certo, la vittoria della medaglia d’oro mi ha reso più noto anche al di fuori del karate e ha fatto conoscere tramite me il mio amato sport. Ho conosciuto persone del mondo dello spettacolo e delle istituzioni molto importanti. Sicuramente c’è stato un “upgrade” positivo, però la mia vita era già bellissima anche prima».

Il karate è stato escluso dalle Olimpiadi di Parigi e anche dalle prossime, in programma a Los Angeles. Che cosa ne pensi?
«Da innamorato di questo sport non può che dispiacermi. Non voglio parlare di ingiustizia perché non sono queste le ingiustizie. Ma da sport così praticato, bello e formativo, merita assolutamente di rientrare nei Giochi olimpici, anche per il riscontro avuto a Tokyo 2020. Purtroppo ci sono delle dinamiche che non conosciamo e non possiamo che lavorare per far tornare il karate nei Giochi e far sognare di nuovo i ragazzi di poter fare un percorso olimpico».

Sei stato comunque “protagonista” a Parigi grazie al ruolo di ambassador. Come hai vissuto questa opportunità?
«Non mi aspettavo che anche questa potesse essere un’emozione così forte. Da un certo punto di vista, ero rilassato perché non avevo gare da affrontare, ma ho potuto vedere davvero quello che ruota attorno a un’Olimpiade. Ed è stato bello poter conoscere più a fondo altri campioni di tante discipline presenti come ambassador. Siamo stati insieme a lungo, è stato piacevole ricordare le nostre vittorie e poterci confrontare, tra chi è ancora in attività come me, chi ha una famiglia con dei bambini… È stato un impegno anche molto formativo».

Che cosa ti ha insegnato il karate fuori dal tatami?
«Io dico sempre che nel karate ci possono essere il campione e il non campione, ma che tutti dovrebbero praticarlo perché ti insegna a vivere, ad affrontare le difficoltà, a rispettare il prossimo, a rispettare te stesso. È uno sport che dà valori importanti. Come arte marziale con filosofia orientale, è piuttosto rigida sotto alcuni aspetti ed è veramente eccezionale. In un’intervista in televisione dissi che se tutti praticassero il karate, sarebbe un mondo migliore. E lo penso veramente».

Hai dichiarato che il karate ti ha salvato la vita. In che modo?
«Lo ribadisco. Sono nato ad Avola, un paesino bellissimo sul mare ma che offre poche opportunità, pochi sbocchi. E quindi c’è il rischio di frequentare compagnie non bellissime e, per emergere, puoi canalizzare l’energia che hai dentro in modo sbagliato. Da piccolo ho fatto alcune cose sbagliate, per fortuna avevo alle spalle una famiglia molto sana e meno male che c’era il karate. Ne ho conosciuto le regole e le ho portate nella vita. Oggi sono un esempio per tanti ragazzini, come racconto anche in un libro».

Oltre all’oro olimpico, quale è stata l’emozione sportiva più bella e intensa nella tua carriera fino a oggi?
«Ricordo sempre con emozione l’oro mondiale al Bercy, il palazzetto di Parigi da 20mila posti. Ho disputato lì la finale, peraltro contro l’azero Ahgayev come nella finale olimpica. Era imbattuto da sei anni, fu una gioia assurda, anche in quel caso feci fatica a ricordare tutti i momenti vissuti dopo la vittoria.
E poi, da juniores, il campionato italiano vinto contro l’atleta del momento Salvatore Loria nella sua Torino. Un giovane sconosciuto che batte in finale un colosso del karate internazionale».

Che cosa diresti a un genitore che sta pensando di far praticare karate al proprio figlio ma ha qualche timore?
«Che non deve avere nessun timore. Io sono l’esempio di quello che può fare il karate. Ero sovrappeso, non mettevo in fila due parole, ero destinato a fare cose non belle nella vita e adesso sono questo. Chi ha qualche timore non riesce a vedere bene, si deve smettere di parlare di sport violenti e sport non violenti. Gli sport da combattimento insegnano a vivere e l’autocontrollo».

Spesso incontri studenti e ragazzi più giovani. Che cosa ti piace trasmettere loro e, allo stesso tempo, che cosa ti lasciano questi momenti?
«Incontrare questi ragazzi è l’emozione più grande. Riesco a captare nei loro occhi se c’è paura di non farcela, di sentirsi sbagliati. Quello che ho vissuto io. Ed è bello parlarci, in maniera “strong” oppure dolce. Loro all’inizio fanno fatica ad aprirsi, poi non vogliono più che me ne vada. Sono me stesso e a loro non mostro le mie vittorie e medaglie, ma fragilità e paure e dico che queste ci saranno sempre e, se sappiamo accettarle, ci serviranno per fare grandi cose nella vita». 

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
«Ho tanti progetti. Sono ancora un atleta, mi sono laureato e vedo il mio futuro nello sport a livello dirigenziale e “politico”. Vorrei apportare delle migliorie nel karate ma, se possibile, nel mondo dello sport in generale. Anche a livello economico: si parla solo di calcio, ma anche altrove c’è gente che ha storie belle da raccontare, ragazze e ragazzi che possono affiancarsi a sponsor e brand di alto livello. Non abbiamo niente in meno rispetto a chi gioca a calcio, basket o tennis.
Poi ho altri sogni, ma da siculo sono molto scaramantico e non li racconto. In generale, voglio continuare a migliorarmi: essere un atleta, un coach, un dirigente ma soprattutto una persona sempre migliore».

Riccardo Canetta

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