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Altre notizie | 14 dicembre 2025, 07:30

Dalle Corti ai Parlamenti: la nobiltà all'alba del Risorgimento italiano

Dalle Corti ai Parlamenti: la nobiltà all'alba del Risorgimento italiano

All’inizio dell’Ottocento, Torino e Genova sembrano due mondi lontani. La prima è la capitale ordinata e austera del Regno di Sardegna; la seconda, l’ex Repubblica fiera della sua indipendenza. Eppure entrambe stanno per essere travolte dalla stessa onda lunga: quella delle rivoluzioni liberali, che attraversano l’Europa e mettono in discussione le certezze dell’ancien régime. 

La nobiltà, per secoli colonna portante dell’ordine politico, sente il terreno muoversi sotto i piedi. Ma non scompare: si trasforma. Famiglie che avevano governato feudi alpini, palazzi barocchi o repubbliche mercantili devono ora confrontarsi con parlamenti, costituzioni, ferrovie e una borghesia sempre più ambiziosa. 

La nobiltà e il nuovo secolo 

Casa Savoia: la Monarchia Costituzionale 

Da Torino parte il cambiamento più radicale. Carlo Alberto, circondato da ministri come Cesare Balbo e giuristi come il conte Sclopis, concede lo Statuto Albertino nel 1848. Il palazzo reale si apre, almeno simbolicamente, alle idee liberali: non è più solo il luogo delle decisioni dinastiche, ma l’ingresso di una nuova stagione politica. 

Vittorio Emanuele II, con la sua energia meno tormentata e più pragmatica, consolida il legame con la borghesia torinese: industriali come i Richelmy, finanzieri vicini ai Balbo e ai Doria di Genova, tecnici e imprenditori che stanno trasformando la pianura piemontese in un laboratorio di modernizzazione. Accanto a loro, la nobiltà più conservatrice – come alcuni rami dei Costa di Cuneo o dei Roero dell’astigiano – guarda con sospetto a questa alleanza inedita. 

È in questo equilibrio delicato che la monarchia sabauda diventa il motore del Risorgimento. 

La nobiltà piemontese: tra conservatori e liberali 

In Piemonte le differenze interne sono profonde. A Torino, città dei salotti frequentati dai Benso di Cavour e dai d’Azeglio, le idee liberali circolano con una certa naturalezza. Le famiglie aristocratiche che orbitano attorno al Castello del Valentino si interessano di economia, ferrovie e diplomazia europea. 

Ma basta spostarsi verso il Cuneese per incontrare un altro mondo: grandi casate terriere, come i Falletti di Barolo o i Costa, ancora legate a un modello sociale lento e agricolo, poco inclini a vedere nella borghesia un alleato credibile. Nelle campagne, dove i Roero e i Pallavicino amministrano ancora vasti possedimenti, l’idea che il potere possa passare per un parlamento a Torino appare quasi un paradosso. 

E proprio qui emergono figure capaci di leggere i tempi nuovi. Cavour, con la sua formazione cosmopolita, è il più noto, ma non l’unico: in tutta l’area tra Alessandria e Asti prende forma una nobiltà moderna, spesso coinvolta in società agricole, banche e iniziative tecniche. È una trasformazione lenta, ma inarrestabile. 

La nobiltà ligure e la Repubblica di Genova 

A Genova, invece, il problema non è adattarsi, ma accettare l’annessione al Regno di Sardegna del 1815. Per famiglie abituate al potere repubblicano – gli Spinola, i Durazzo, i Della Rovere locali – l’arrivo dei Savoia è percepito quasi come un’invasione. I vecchi palazzi dell’aristocrazia locale, affacciati sulle vie strette del centro, custodiscono memorie di un passato glorioso che difficilmente si concilia con l’obbedienza a Torino. 

Eppure, la città ha una risorsa che nessuno può ignorare: la sua ricchezza. I Balbo controllano commerci, flotte, banche; gli Spinola mantengono contatti internazionali che nessun diplomatico sabaudo potrebbe replicare. Così, nel corso degli anni, molte famiglie liguri scelgono una via pragmatica: aderire al progetto unitario per influenzarlo dall’interno. 

Il porto, le compagnie marittime, le reti commerciali verso Marsiglia, Londra e il Levante diventano leve indispensabili per il nuovo Stato. Ancora una volta, la nobiltà dimostra che il potere non è solo una questione di titoli. 

I Grimaldi di Monaco: la crisi e la sopravvivenza 

Lasciando Genova verso est, la costa si fa più stretta e luminosa, fino ad arrivare al piccolo Principato di Monaco. Qui i Grimaldi vivono un Ottocento complesso. Caduto l’ordine napoleonico, il protettorato sabaudo porta stabilità ma anche pressioni politiche. 

Nel 1848 Mentone e Roccabruna – sostenute da élite locali come i Vento e i Garibaldi mentonesi – si ribellano e chiedono l’annessione al Regno di Sardegna. Con la loro secessione, i Grimaldi perdono il cuore economico del principato. È un colpo durissimo, che li costringe a rivedere tutto: alleanze, finanze, perfino la loro idea di sovranità. 

Il destino di Monaco racconta in miniatura ciò che accade in Europa: i piccoli poteri dinastici faticano a sopravvivere nell’era degli stati nazionali. 

Le nuove dinamiche del Potere 

Nel corso del secolo la nobiltà capisce che il potere sta cambiando casa. Non è più nei feudi del Cuneese, nei palazzi genovesi o nei castelli del Monferrato: è nelle banche, nelle ferrovie, nelle industrie. 

A Torino, giovani aristocratici liberali siedono accanto a ingegneri, avvocati e industriali nei banchi del Parlamento Subalpino. A Genova, le famiglie mercantili reinvestono capitali nel nascente sistema bancario e ferroviario. A La Spezia – trasformata in porto militare – famiglie come i Parentucelli o i De Nobili entrano in nuovi circuiti di potere legati alla Marina. 

Il merito, la competenza e la ricchezza diventano più importanti del sangue. La nobiltà che non accetta questa regola si ritira in palazzi sempre più silenziosi; quella che la fa propria diventa protagonista della nuova Italia. 

L’eredità del Risorgimento 

Il Risorgimento non è stato solo un mosaico di battaglie e trattati, ma anche una grande prova di adattamento sociale. I Savoia, passando dalla corte al parlamento; Cavour e i liberali piemontesi, con la loro visione economica; le famiglie genovesi, pragmatiche e cosmopolite; e persino i Grimaldi, schiacciati ma non distrutti dagli eventi del 1848: tutti hanno contribuito, in modi diversi, alla costruzione dell’Italia moderna. 

L’aristocrazia feudale si è dissolta, ma non la nobiltà. Ha cambiato pelle, ha mischiato il suo blasone con la borghesia emergente, ha trovato nuovi modi di contare. 

E forse è proprio qui la lezione più importante: l’Italia non è nata contro la sua aristocrazia, ma grazie alla sua capacità – talvolta sorprendente – di trasformarsi, leggere il presente e aprirsi al futuro. 

In questo percorso tra storia e territori, il nostro gruppo editoriale resta radicato proprio nelle città protagoniste del racconto: Torino, Genova, Asti, Cuneo, fino alla Costa Azzurra. È da qui, dal cuore vivo del Nord-Ovest, che continuiamo a raccontare ciò che siamo. 

Valeria Toscano

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